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Cessione di ramo d’azienda “dematerializzato”: necessario un comune bagaglio di conoscenze dei lavoratori

8 Giugno 2021 by Teleconsul Editore S.p.A.

In caso di cessione di ramo d’azienda “dematerializzato” o “leggero”, affinchè possa configurarsi l’elemento costitutivo dell’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero della capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo, il gruppo di lavoratori trasferiti deve essere dotato di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio (Corte di Cassazione, sentenza 31 maggio 2021, n. 15129)

Una Corte di appello territoriale, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva dichiarato la nullità della cessione del contratto di lavoro di un dipendente e la prosecuzione del rapporto nei confronti della Società cedente di ramo d’azienda, per essere quest’ultimo sprovvisto di una propria identità organizzativa e funzionale che consentisse alla struttura di operare autonomamente e risolvendosi invece nella mera aggregazione di attività, identificate in modo unitario per volontà delle società coinvolte, all’atto della cessione.
Le Società cedente e cessionaria ricorrono così in Cassazione avverso la sentenza, lamentando, in relazione all’accertamento del requisito dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto, la professionalità del lavoratore e degli altri addetti al settore e la rilevanza di tali conoscenze e professionalità anche in vista dell’utilizzo presso l’impresa acquirente.
Per la Suprema Corte le doglianze non meritevoli di accoglimento.
In via pregiudiziale, infatti, la valutazione dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto e della sua preesistenza è una “quaestio facti” che, come tale, opera sul piano del giudizio di fatto, demandato al giudice del merito.
Nel merito, invece, secondo un risalente principio di legittimità Corte di Cassazione, sentenza n. 13068/2005), la cessione di ramo d’azienda è configurabile laddove venga ceduto un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica, funzionalizzata allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni o servizi.
Detta nozione è coerente con la disciplina dettata dall’Unione Europea (art. 1, n. 1, Direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE), secondo cui è considerato come trasferimento quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria.
L’elemento costitutivo della cessione è rappresentata dunque dall’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero dalla capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione (Corte di Cassazione, sentenza n. 11247/2016).
Quanto poi alla specifica doglianza, negli arresti giurisprudenziali in discorso non si è disconosciuta la legittimità di cessioni di rami aziendali “dematerializzati” o “leggeri” dell’impresa, nei quali oggetto del trasferimento può essere anche un gruppo organizzato di dipendenti specificamente e stabilmente assegnati ad un compito comune, senza elementi materiali significativi (ex multis, Corte di Cassazione, sentenza n. 20422/2012). In particolare, tali principi vengono affermati essenzialmente nel campo della successione negli appalti laddove sono i lavoratori ad invocare l’applicazione dell’art. 2112 c.c. per transitare nell’impresa subentrante.
Tuttavia, nelle predette fattispecie, è compito del giudice del merito verificare che il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato “di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio”, così “scongiurando operazioni di trasferimento che si traducano in una mera espulsione di personale”. Ciò, in quanto il ramo ceduto deve essere dotato di effettive potenzialità commerciali che prescindano dalla struttura cedente dal quale viene estrapolato ed essere in grado di offrire sul mercato ad una platea indistinta di potenziali clienti quello specifico servizio per il quale è organizzato (Corte di Cassazione, sentenza n. 11247/2016).

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