Ai fini dell’accesso al regime esente Iva di cui all’art. 50, D.L. n. 331/1993 è necessario il codice identificativo del cessionario e che il soggetto attivo dello scambio dia impulso ad una apposita procedura di verifica, richiedendo al Ministero delle Finanze la conferma della validità attuale del numero di identificazione attribuito al cessionario, attraverso una procedura che non può essere ritenuta facoltativa, posto che, in assenza di tali adempimenti, legittimamente l’Ufficio finanziario può ritenere che lo scambio abbia carattere nazionale e procedere al recupero dell’IVA (Corte di Cassazione – ordinanza 09 marzo 2021, n. 6431). I principi giuridici applicabili nella materia in esame sono da tempo consolidati nella giurisprudenza di questa Corte nel senso che “In tema IVA, le cessioni intracomunitarie, a norma dell’art. 50, co. 1 e 2, D.L. n. 331/1993, sono effettuate senza applicazione d’imposta nei confronti dei cessionari e dei committenti che abbiano comunicato il numero di identificazione attribuito dallo Stato di appartenenza. Per accedere al regime esente, però, non basta che gli esercenti imprese, arti e professioni indichino tale numero nella documentazione relativa allo scambio intracomunitario, ma occorre anche che il soggetto attivo dello scambio dia impulso ad una apposita procedura di verifica, richiedendo al Ministero la conferma della validità attuale del numero di identificazione attribuito al cessionario. In assenza di tali adempimenti, legittimamente l’Ufficio finanziario può ritenere che lo scambio abbia carattere nazionale e procedere al recupero dell’IVA, restando onere del contribuente provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo. E’ stato precisato pure che la indicazione erronea del codice identificativo del cessionario nel caso di cessioni intracomunitarie non può essere ritenuta ragione che faccia venir meno la possibilità di applicazione del regime di non imponibilità di cui alla normativa citata poiché non può ritenersi un requisito sostanziale; nel contempo diventa necessaria la dimostrazione che, pur a fronte della indicazione erronea che non consente l’ordinano funzionamento del sistema di gestione degli scambi intracomunitari sotto il profilo fiscale, le operazioni siano effettive. L’onere di dimostrarlo, quindi, non può che spettare al soggetto che invoca il regime speciale e che non ha rispettato gli obblighi formali per dimostrare la natura dell’operazione. Ed anche con riguardo negli elenchi riepilogativi che gli operatori intracomunitari sono tenuti a compilare, qualora sia riportato un codice identificativo cessato del corrispondente comunitario, deve ritenersi possibile che l’operatore fornisca la prova certa della effettività della operazione commerciale, incorrendosi altrimenti nel divieto di doppia tassazione, atteso che si tratta di un requisito formale la cui mancata o non corretta indicazione assume specifico rilievo, ai fini del diniego della non imponibilità della cessione, esclusivamente qualora impedisca la dimostrazione certa della sussistenza dei requisiti sostanziali dell’operazione intracomunitaria. L’omessa attribuzione al cessionario del codice identificativo ovvero l’omessa annotazione nell’elenco riepilogativo lstat (lntrastat), non fanno invero venir meno la possibilità d’inquadrare l’operazione a favore di operatori comunitari, laddove sia dimostrato che la stessa abbia avuto effettivamente luogo e che il destinatario di essa sia un operatore comunitario. Ciò posto, alla luce dei principi giuridici consolidati, per accedere al regime esente, quindi, non basta che gli esercenti imprese, arti e professioni indichino tale numero nella documentazione relativa allo scambio intracomunitario, occorrendo pure che il soggetto attivo dello scambio dia impulso ad una apposita procedura di verifica, richiedendo al Ministero la conferma della validità attuale del numero di identificazione attribuito al cessionario, attraverso una procedura che non può essere ritenuta facoltativa, posto che, in assenza di tali adempimenti, legittimamente l’Ufficio finanziario può procedere al recupero dell’IVA; tuttavia, in tal caso, non si verifica la perdita del diritto alla esenzione, se spettante, mentre si sposta sul contribuente l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo.