Secondo la Corte di Cassazione, in materia di tassazione dell’indennità di esproprio, il ritardo ingiustificato della P.A. nel pagamento, legittima la non imponibilità ai fini IRPEF della relativa plusvalenza, altrimenti violando il giusto equilibrio tra l’interesse generale e la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo (Ordinanza 11 febbraio 2021, n. 3462). La controversia riguarda l’impugnazione dell’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio ha recuperato a tassazione le somme percepite dal contribuente, in qualità di erede, a titolo di ristoro per l’espropriazione di un terreno. La Corte di Cassazione, riformando la decisione dei giudici tributari, ha accolto l’eccezione del contribuente di esonero dal pagamento delle imposte in relazione all’indennità di esproprio percepita, in considerazione dell’ingiustificato ritardo da parte della P.A. espropriante nella liquidazione dell’indennizzo (nel 2005) rispetto all’espropriazione del terreno (risalente agli anni settanta). Con riferimento a tale disposizione, secondo un primo orientamento formatosi in giurisprudenza, la Corte di Cassazione aveva affermato il principio di diritto secondo il quale “In tema di imposte sui redditi, ai fini del prelievo fiscale di cui all’art. 11, comma 5, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, è sufficiente che la percezione della somma, che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi, sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge anzidetta, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto prima del 1° gennaio 1989. Né tale disciplina pone dubbi di legittimità costituzionale, sul rilievo che essa determinerebbe una ingiustificata differenziazione di situazioni omogenee o una lesione del diritto di difesa rispetto alle espropriazioni che, invece, rimarrebbero indenni da tassazione, solo perché l’Amministrazione ha corrisposto indennità prima del 31 dicembre 1991 o perché l’eventuale giudizio si sia chiuso a quella data, in quanto, sotto il profilo impositivo, l’unico momento rilevante è quello della percezione della plusvalenza ed il diverso trattamento costituisce un effetto tipico della disciplina della successione delle leggi nel tempo, il cui decorso costituisce, di per sé, elemento diversificatore”.
Il ricorso è stato respinto dai giudici tributari che hanno ritenuto l’indennizzo, quale corrispettivo di una transazione avvenuta nel corso di un procedimento espropriativo, una plusvalenza soggetta a tassazione separata secondo le disposizioni del TUIR (art. 6, co. 2, del DPR n. 917 del 1986), e in considerazione del fatto che il pagamento era avvenuto dopo il 1° gennaio 1992, dovesse ritenersi imponibile secondo il criterio di cassa in base alla disciplina introdotta dall’art. 11, co. 5, della Legge n. 413 del 1991.
I giudici della Suprema Corte hanno osservato che l’art. 11 della Legge n. 413/1991 (confluito nell’art. 35 del DPR n. 327/2001) ha introdotto la tassazione delle somme percepite a titolo di indennità di esproprio (o di cessione volontaria) a seguito di procedimento espropriativo.
La norma, infatti, definisce plusvalenze, che costituiscono reddito imponibile e che concorrono alla formazione dei “redditi diversi”, non solo le indennità di espropriazione, ma anche le somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza divenute illegittime relativamente ai terreni destinati ad opere pubbliche e prevede, che le plusvalenze da esproprio conseguenti alla percezione di dette somme, da parte di soggetti che non esercitano imprese commerciali, siano sottoposte ad una ritenuta a titolo di imposta del 20 per cento, che viene applicata dall’ente espropriante in qualità di sostituto d’imposta al momento del pagamento dell’indennizzo, salva la facoltà del contribuente di optare, in sede di dichiarazione annuale dei redditi, per la tassazione ordinaria, nel qual caso la ritenuta si considera effettuata a titolo di acconto.
Tuttavia, il principio di cassa, sotto il profilo impositivo, con riferimento a indennità di esproprio, investe il rapporto tra la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e – appunto – le disposizioni nazionali in materia di tassazione delle plusvalenze derivanti da procedimenti espropriativi.
Valorizzando un eventuale illegittimo comportamento della P.A. rappresentato da un ingiustificato ritardo nella liquidazione dell’indennizzo in relazione alla tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, la Corte di Cassazione ha dunque affermato l’ulteriore principio di diritto secondo il quale: “In tema di imposte sui redditi, ai fini del prelievo fiscale di cui all’art. 11, comma 5, I. n. 413 del 1991, è sufficiente che la percezione della plusvalenza derivante dall’espropriazione di beni sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge anzidetta, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto precedentemente; tuttavia qualora il decreto di esproprio, cessione volontaria o l’occupazione acquisitiva siano intervenuti prima del 31 dicembre 1988, ma il pagamento sia intervenuto dopo l’entrata in vigore della I. n. 413 cit., la plusvalenza non è imponibile nel caso di ingiustificato ritardo della P.A. nel pagamento dell’indennizzo, ponendosi una diversa interpretazione in contrasto con i principi costituzionali e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, da ritenersi violati ove l’applicazione retroattiva del regime fiscale non abbia garantito quel giusto equilibrio tra l’interesse generale e la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo”.