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La mancata distribuzione di dividendi della partecipata esclude la disciplina delle società di comodo

25 Marzo 2021 by Teleconsul Editore S.p.A.

Con riferimento alle società che detengono partecipazioni, la Corte di Cassazione ha confermato la legittima disapplicazione della disciplina antielusiva delle “società di comodo”, nel caso in cui l’assenza di reddito dipenda dalla scelta della società partecipata di non distribuire i dividendi per destinare gli utili al proprio rafforzamento patrimoniale. Si configura una situazione oggettiva non imputabile al contribuente che giustifica la disapplicazione della norma antielusiva. (Ordinanza 23 marzo 2021, n. 8034).

IL CASO

La controversia trae origine dall’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate in applicazione della disciplina delle società non operative, per assenza di reddito in relazione all’unica attività di partecipazione in società.
I giudici tributari hanno accolto il ricorso della società, affermando la disapplicazione della disciplina antielusiva, in considerazione del fatto che l’assenza di reddito era conseguente alla deliberazione della società partecipata di non distribuire dividendi, destinando gli importi al proprio rafforzamento patrimoniale.

DECISIONE DELLA CASSAZIONE

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici tributari, considerando legittima la disapplicazione della disciplina delle società non operative, in virtù del fatto che la scelta della società partecipata di non distribuire gli utili nell’anno d’imposta oggetto di accertamento rappresentasse una situazione oggettiva non imputabile al contribuente.

La Corte Suprema ha osservato che secondo la disciplina applicabile ratione temporis (2006) le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano, salvo prova contraria, non operativi se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando le seguenti percentuali:
a) il 2 per cento al valore di azioni o quote di partecipazioni, anche non rappresentate da titoli, al capitale di società, anche se costituiscono immobilizzazioni finanziarie, aumentato del valore dei crediti;
b) il 6 per cento al valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e da navi, anche in locazione finanziaria;
c) il 15 per cento al valore delle altre immobilizzazioni, anche in locazione finanziaria.
Le suddette disposizioni non sono applicabili:
– ai soggetti ai quali, per la particolare attività svolta, è fatto obbligo di costituirsi sotto forma di società di capitali;
– ai soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta;
– alle società in amministrazione controllata o straordinaria;
– alle società ed enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani;
– alle società esercenti pubblici servizi di trasporto;
– alle società con un numero di soci non inferiore a 100.

In presenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini IVA, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle disposizioni antielusive con apposita istanza di interpello, dove assume rilevanza la norma che consente la disapplicazione della normativa sulle società non operative su richiesta per “oggettive situazioni di carattere straordinario”.
In proposito, la Corte Suprema ha affermato che “la nozione d’impossibilità” indicata dalla disposizione va intesa non in termini assoluti, quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni di mercato.
Nella fattispecie, la mancata distribuzione di utili da parte della partecipata deve ritenersi integrante quella “impossibilità oggettiva” estranea alla volontà della contribuente, che permette la non applicazione della normativa anti-elusiva.

D’altra parte, precisano i giudici della Suprema Corte, secondo la disciplina applicabile nei successivi periodi, è affidato all’Agenzia delle Entrate il compito di individuare determinate “situazioni oggettive”, in presenza delle quali è consentito disapplicare la disciplina antielusiva delle società operative, senza dover assolvere all’onere di presentare l’istanza di interpello. L’Agenzia delle Entrate ha stabilito che la partecipazione in altre società operative costituisce “per tabulas” una di quelle situazioni che può giustificare la non applicazione della normativa sulle società di comodo.

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