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Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: competenza del giudice del lavoro

30 Dicembre 2021 by Teleconsul Editore S.p.A.

Nell’ipotesi in cui il lavoratore abbia agito in giudizio chiedendo, con la dichiarazione di illegittimità o inefficacia del licenziamento, la reintegrazione nel posto di lavoro nei confronti del datore di lavoro dichiarato fallito, permane la competenza funzionale del giudice del lavoro (Corte di cassazione – Sentenza 27 dicembre 2021, n. 41586).

I giudici della Corte hanno più volte chiarito che anche nell’ipotesi di sottoposizione della società datrice alla procedura di amministrazione straordinaria sussiste la perdurante competenza del giudice del lavoro in relazione alla domanda di mero accertamento volta all’annullamento del licenziamento.
Va fatta distinzione tra domande del lavoratore che mirano a pronunce di mero accertamento oppure costitutive (ad esempio, domanda di annullamento del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro) e domande dirette alla condanna al pagamento di somme di denaro (anche se accompagnate da domande di accertamento o costitutive aventi funzione strumentale).
Per le prime va, infatti, riconosciuta la perdurante competenza del giudice del lavoro, mentre per le seconde opera (diversamente dal caso del fallimento, in cui si rinviene l’attrazione del foro fallimentare) la regola della improcedibilità o improseguibilità della domanda, per difetto temporaneo di giurisdizione per tutta la durata della fase amministrativa di accertamento dello stato passivo dinanzi ai competenti organi della procedura.
L’art. 24 della Iegge fallimentare prevede che “il Tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore”. Nel caso di specie, tuttavia, l’azione volta all’accertamento del licenziamento non è in alcun modo riconducibile alla categoria delle azioni che hanno origine o fondamento dall’inizio di una procedura concorsuale o che subiscono una modifica dall’apertura di quest’ultima.
Tutte queste azioni si caratterizzano per la loro medesima finalità, in quanto tendono alla ricostruzione del patrimonio del soggetto sottoposto a procedura concorsuale, presentando, quindi, caratteri marcatamente recuperatori.

Al contrario, l’azione volta all’accertamento del licenziamento non nasce dall’apertura della procedura di amministrazione straordinaria e, dunque, sfugge alla regola di cui al cit. art. 24 della legge fallimentare, e alla ratio ad essa sottesa.

Nell’ipotesi in cui il lavoratore abbia agito in giudizio chiedendo, con la dichiarazione di illegittimità o inefficacia del licenziamento, la reintegrazione nel posto di lavoro nei confronti del datore di lavoro dichiarato fallito, permane la competenza funzionale del giudice del lavoro, in quanto la domanda proposta non è configurabile soltanto come mero strumento di tutela di diritti patrimoniali da far valere sul patrimonio del fallito, ma si fonda anche sull’interesse del lavoratore a tutelare la sua posizione all’interno dell’azienda fallita, sia per l’eventualità della ripresa dell’attività lavorativa (conseguente all’esercizio provvisorio ovvero alla cessione dell’azienda, o a un concordato fallimentare), sia per tutelare i connessi diritti non patrimoniali, ed i diritti previdenziali, estranei all’esigenza della par condicio creditorum.
In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è sufficiente, per la legittimità del recesso, che le addotte ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette a una migliore efficienza gestionale ovvero a un incremento di redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa.

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