La Corte di Cassazione ha affermato che in materia di tassazione concorrente, deve ritenersi illegittimo l’avviso di accertamento emesso dalle autorità italiane per omessa dichiarazione dei redditi, nei confronti del contribuente italiano, in relazione al reddito da lavoro dipendente prodotto con attività lavorativa prestata in Germania per almeno 183 giorni, ove ha assolto a tutti i suoi obblighi tributari mediante il versamento integrale delle imposte al fisco tedesco (Ordinanza 14 aprile 2021, n. 9725). La controversia trae origine dall’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del contribuente residente in Italia, per l’omessa dichiarazione di redditi di lavoro dipendente prodotti in Germania. La Corte di Cassazione ha riformato la decisione dei giudici tributari, affermando l’esclusione di obblighi tributari in Italia in capo al contribuente, in ragione delle disposizioni contenute nella Convenzione contro le doppie imposizioni conclusa con la Germania.
In particolare, per l’anno d’imposta oggetto di accertamento il contribuente aveva soggiornato e svolto attività di lavoro dipendente per 183 giorni in Germania, dove aveva presentato la relativa dichiarazione dei redditi e pagato integralmente le relative imposte.
In sede di contraddittorio per la definizione agevolata, il contribuente ha chiesto il riconoscimento del credito d’imposta per le imposte pagate all’estero in applicazione del divieto di doppia imposizione sancito dalla convenzione Ocse. L’Ufficio ha respinto la richiesta, rilevando che l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, essendo il contribuente fiscalmente residente in Italia, ostacolava il riconoscimento del credito d’imposta.
I giudici tributari hanno respinto il ricorso del contribuente ritenendo legittima la pretesa tributaria.
Il contribuente ha proposto ricorso in Cassazione rilevando che la detrazione del credito d’imposta per le imposte pagate all’estero (art. 165 del Tuir) non potrebbe essere preclusa dall’omessa dichiarazione dei redditi in Italia stante il versamento integrale delle imposte in Germania e il divieto di doppia imposizione sancito dalla convenzione stipulata tra i due Stati.
La Corte Suprema ha osservato che la Convenzione tra Italia e Repubblica Federale di Germania, al fine di evitare le doppie imposizioni e prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito prevede all’art. 15 (lavoro subordinato), che “i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di una attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente. Se l’attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato”.
La convenzione stipulata tra gli Stati, al pari delle altre norme internazionali pattizie, riveste carattere di specialità rispetto alle corrispondenti norme nazionali e quindi prevale su queste ultime, dovendo la potestà legislativa essere esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti, tra l’altro, dagli obblighi internazionali sanciti dalla Costituzione.
La Suprema Corte ha precisato che le convenzioni bilaterali in materia di doppia imposizione hanno la funzione di dettare norme internazionali di conflitto al fine di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali, che si verifica allorché una stessa situazione di fatto economicamente rilevante determina la nascita in capo al medesimo soggetto di due obbligazioni tributarie in relazione a imposte dello stesso tipo previste dalla legislazione di due Paesi diversi, con conseguente ostacolo all’attività economica e di investimento internazionale. Tale scopo viene perseguito o mediante l’attribuzione del potere d’imposizione fiscale ad uno Stato contraente e, corrispondentemente, con la rinuncia all’esercizio di tale potere da parte dell’altro Stato, oppure viene prevista una potestà impositiva concorrente dei due Stati, con il ricorso allo strumento del credito d’imposta per evitare la doppia imposizione.
Nel caso particolare, l’articolo 15 della Convenzione Italia – Germania è chiara nell’ancorare la potestà impositiva allo Stato di residenza solo se coincidente con quello in cui il lavoro viene esercitato. La disposizione prevede infatti che nel caso in cui l’attività sia svolta nell’altro Stato contraente – ovvero quello in cui il contribuente non ha residenza – le remunerazioni percepite a tale titolo sono imponibili in questo altro Stato.
In altri termini, la regola applicabile è quella dell’articolo 15 della Convenzione Italia-Germania che mette in gioco l’avverbio “soltanto” per derogare al worldwide principle rispetto alla tassazione dei redditi da lavoro dipendente, per favorire la circolazione delle manodopera.
Dunque, nell’ipotesi esaminata, la disciplina del credito d’imposta per le imposte pagate all’estero deve ritenersi non applicabile, in considerazione della esclusiva imponibilità del reddito di lavoro dipendente nello Stato in cui è prodotto.
Considerato che il contribuente italiano abbia prestato la sua attività lavorativa in Germania per almeno 183 giorni, ove ha assolto a tutti i suoi obblighi tributari mediante il versamento integrale delle imposte, deve ritenersi escluso l’assoggettamento ad ulteriori adempimenti o versamenti tributari in Italia.